Capisci quello che leggi? La domanda di Filippo all’eunuco etiope (At 8) si ripropone dopo venti secoli senza aver perso nulla della sua forza. Capiamo, quando leggiamo la Bibbia? Come dobbiamo leggerla, per capire quel che ha da dirci?
Venerdì 28 ottobre lo Studio Teologico Paolo VI ha ufficialmente inaugurato l’anno accademico 2022-23. La prolusione è stata affidata a don Luca Mazzinghi, sacerdote fiorentino, professore ordinario alla Pontificia Università Gregoriana. Tema: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa dal Vaticano II a oggi. Acquisizioni, limiti, prospettive.
Il magistero conciliare nel campo dell’ermeneutica biblica ha dato frutti che, a 60 anni da Dei Verbum (costituzione dogmatica sulla divina rivelazione del Vaticano II), possiamo ormai riconoscere con una certa lucidità. Primo, la natura della rivelazione. Per il modello proposizionale, ancora egemone con il Vaticano I, Dio comunica agli uomini un corpo di proposizioni dottrinali, da ritener per vere. Il Vaticano II propone, da parte sua, un modello storico-personale: Dio rivela anzitutto Se stesso, parla agli uomini tamquam amicos e li ammette alla comunione con Sé. Secondo, il rapporto fra Scrittura e Tradizione (non due fonti autonome, ma attestazioni diverse dell’unica rivelazione) e fra Bibbia e Magistero (il secondo serve la prima, esponendone fedelmente il contenuto). Terzo, la dottrina sull’ispirazione e sulla verità della Bibbia. Quanto all’ispirazione, Dei Verbum insegna che Dio, vero autore della Scrittura, «scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte» (DV 11). Di conseguenza, è compito dell’esegesi ricercare l’intenzione dell’autore umano, la cui conoscenza non è indifferente alla retta interpretazione dell’intenzione divina. Circa la verità della Scrittura, la limitazione nostrae salutis causa (sempre DV 11) traccia i confini entro i quali la pretesa veritativa della Bibbia ha valore: per tutto ciò che attiene alla nostra salvezza – non oltre.
Fondamentale, poi, il richiamo a DV 12: la Scrittura, da leggere nello stesso Spirito mediante il quale fu scritta, va interpretata tenendo conto di almeno quattro fattori: il contributo del metodo storico, con la considerazione dei generi letterari, è necessario ma non sufficiente; infatti, «si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede».
Dipinto, con buona approssimazione, il quadro del magistero conciliare sull’ermeneutica biblica, non tutto è naturalmente risolto e molte questioni rimangono aperte. Su tutte, una: in che modo l’esegesi scientifica contribuisce alla missione pastorale ed evangelizzatrice della Chiesa? C’è rapporto fra i risultati dell’esegesi critica e il senso spirituale che ogni fedele cerca nelle pagine sacre per nutrimento della propria fede?
Fra le prospettive aperte dal dibattito e dalla ricerca post-conciliare, il prof. Mazzinghi ha ricordato il pregio dell’analisi narrativa, che intende coinvolgere il lettore nella dinamica del racconto biblico. De te fabula narratur: ogni lettore della Scrittura dovrebbe riconoscere, oggi e per sé, la verità del detto oraziano. La pagina sacra non ha solo un messaggio da trasmettere ma ci porta nel suo mondo e, per plasmare nella fede la mentalità di chi l’ascolta, interpella l’immaginazione non meno dell’intelligenza.
Da ultimo, il programma di un’ermeneutica teologica che non rinunci al contributo dei metodi scientifici può riassumersi così: esercitare la razionalità esegetica nell’ordine della fede. Un buon mandato per l’anno di studi che inizia, e per quelli che verranno.